Qualche giorno fa è uscita una storia di
che ha fatto un po’ di rumore. Per carità andate a leggere il post originale:Titolo esplicativo - si parla ovviamente della scuola Holden, che vende il ‘sogno’ di diventare scrittori di successo salve (nella maggioranza dei casi) succhiarti ventimila euro in cambio del rilascio di un certificato inutile e senza alcun valore legale (non è un titolo di studio).
Molto divertente anche la reazione della scuola alle critiche legittime (reazione poi cancellata come nei migliori casi di lacrime di coccodrillo) che potete trovare documentata un po’ dappertutto - sul corriere o meglio ancora sul post IG di rivista studio, dove potete ancora vederlo.
Alla domanda se sia lecito spendere ventimila euro per ‘imparare a scrivere’ la mia risposta preferita è sicuramente quello che si vanta di aver scopato durante il biennio Holden. Ne valeva la pena! Bro, ti porto nel cuore, ma non è il l’incredibile argomentazione che credi sia.
Ci sarebbe anche da sottolineare l’ironia del fatto che la Holden ha dei corsi di comunicazione, e questa risposta poi ritrattata è un clamoroso autogol.
Ma non è mia intenzione ripetere cose che hanno già detto gli altri (di nuovo, leggetevi il post di Scrollo perché merita).
A seguire solo contenuti originali, giuro.
Faccio coming out: dieci anni fa c’avevo fatto un pensierino a iscrivermi alla Holden, perché ero esattamente nel target d’eccezione:
studente
in quel di Torino
vaghi sogni di successo editoriale
nessuna conoscenza del mercato
con disponibilità economica
L’ultima, ovviamente, è relativa come sempre in questi casi; si sarebbe trattato di un prestito dai miei. Tutto perfetto, se non che all’epoca venne un provvidenziale aumento dei prezzi (da cinquemila euro per due anni è passato a diecimila euro l’anno, con ‘crediti’ e ‘borse di studio’ ridicole).
Devo ringraziare l’ufficio marketing o chiunque si sia occupato di cambiare il piano economico della Holden. Il me di dieci anni fa si sarebbe fatto fregare per 5mila, ma non per 20mila. Questa non è la storia della volpe e l’uva: questa è la storia del me del passato, indiscutibilmente più ingenuo e stupido del me presente, che schiva un proiettile.
Ma se di classismo in Italia (e nel mondo) oggi si parla con difficoltà, come se le classi fossero rimaste nei primi del novecento, parliamo almeno dei vaghi sogni di successo e della conoscenza del mercato: due delle premesse che all’epoca mi facevano guardare alle promesse della Holden con una certa voglietta.
In un panorama editoriale asfittico dove non si legge, la promessa del successo è ridicola.
Sarebbe bello vedere le statistiche sull’impiego, come quelle pubblicate da ogni facoltà di ogni università: in quanti trovano lavoro nell’ambito in cui hanno studiato? In quanti vengono pubblicati? In quanti fanno effettivamente lo scrittore, e non l’editor, il coach, l’agente editoriale, il correttore di bozze? Chiaramente questi dati non esistono, perché la Holden non è un corso universitario e non è tenuta a pubblicare alcun tipo di resoconto.
Quello che la Holden può offrire è un obolo all’altare di Baricco: d’altronde, la scrittura è un’attività egoriferita e il culto della personalità è la sua naturale evoluzione.
Comunque dietro la risposta gretta e di pancia di chi giustifica la Holden o la paragona a sproposito ad Harvard dubito che ci sia un interesse genuino.
Queste cose si sapevano già, e se non si sapevano si immaginavano. E non intendo dire nel piccolo degli ambienti degli addetti ai lavori - dove la tematica dell’amichettismo e delle raccomandazioni è certamente viva e di buona salute - ma proprio al livello docenti/studenti.
La questione non è quella di pagare per imparare ma neanche di pagare per pubblicare; la questione è di pagare per una scorciatoia che ti può far prevalere sugli altri. In nessun altro modo ci si può iscrivere a un corso senza accettare, in una misura anche solo inconscia, questa premessa.
Se quindi si parla di un contesto di prevaricazione di fondo alcune delle critiche perdono di senso. Il bullismo, la disparità di trattamento e la competizione tra i colleghi (a cui il post originale fa riferimento) diventano una semplice conseguenza. Chi non ce la fa e non eccelle (perché magari ignorato dai docenti) non ha il diritto di lamentarsi, esattamente come chi non accede al corso per impossibilità economica. Essere povero è una colpa (come nella migliore mentalità americanoide) ma anche non sapersi ‘mettere in gioco’ e non avere la faccia di bronzo.
Il corso è progettato per escludere, la logica è progettata per escludere; una critica in questo senso appare ‘fuori luogo’.
Non escludo che esista anche la razionalizzazione di chi, dopo essersi diplomato, riesce a lavorare esattamente come voleva. Si può sempre dire si, ma ho fatto un investimento, o si, ma io ho fatto dei sacrifici, o si, ma io ho anche talento1! Che è un po’ l’equivalente di dire: si, sono un elitista, però me lo merito!
In questi casi c’é una metafora legale del panorama americano che mi piace molto, quella dei “frutti dell’albero avvelenato2”; analoga alla lontana alla mela che non può cadere lontano dall’albero.
La critica è facile, l’autocritica necessariamente difficile, e molta parte della comunicazione social si basa sull’elevare i propri pregi e diminuire i propri difetti.
Sarebbe un errore concludere che la scrittura non si insegna e non si può insegnare. Chiaramente in una certa misura i corsi servono, il confronto serve, dei modelli servono; serve anche il marketing e capire come va il mercato. Ma è evidente che la Holden è una soluzione di discreto successo basata sull’incontrare una domanda di successo editoriale, sul creare un piccolo in-group di privilegiati veri o percepiti. Pazienza se durante questo processo si finisce con il derubare qualcuno.
Forse la cosa peggiore che possiamo imputargli è di essere un microcosmo del sistema Italia. Imbrogliare, farsi forti coi deboli e deboli coi forti, fottere il prossimo, e rispondere a piagnistei sono tutti aspetti della nostra cultura da cui davvero non vogliamo liberarci.
Alla prossima,
M.
a quel punto partono le risate registrate
Letteralmente “fruit of the poisonous tree”. Si usa in contesto legale per indicare che prove acquisite illegalmente non possono essere presentate in tribunale.
Ho visto solo ora il post! Un bacino e complimenti ♥️🧨💋🥰🥺